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  • Selinunte storica
  • Selinunte archeologica
  • Storia dell'Ulivo

... Storia di una stella della Magna Grecia

E’ la storia di una stella dell’antichità che ha brillato alta nel cielo per un paio di secoli, per poi
spegnersi tragicamente all’improvviso e finire nell’oblio per tanti secoli.
E’ la storia di un popolo di audaci guerrieri ed abili commercianti di
Megara Iblea, che compressi a sud della Sicilia dalla potente Siracusa
e a nord dalle colonie Calcidesi, trovarono sfogo alle loro mire
espansionistiche dirigendosi nella Sicilia occidentale.
Qui presso la foce del fiume Modione (antico Selinos) da un lato
e quello del Gorgo Cottone dall’altro sorse Selinunte.
Il termine greco Selinon, indica l'apio, una pianticella di prezzemolo selvatico,
che cresceva spontanea nella vallata del Modione e che divenne
un emblema della città, come attestano molte monete rinvenute,
che riproducono su una faccia foglie di apio.
La spedizione fu organizzata dal condottiero Pammilo
che approdato dalla madre patria greca a Megara Iblea,
salpò con una folta comitiva di coloni alla volta della Sicilia;
dove approdò alle foci del fiume Modione nell’anno 628 a.c.;
tale data è desunta dal racconto dello storico greco Tucidide
che parlò della fondazione di selinunte 100 anni dopo la fondazione di Megera Iblea avvenuta nel 728 a. c.
Altri elementi etnici, si inserirono nel tessuto sociale della colonia:
erano alcuni rodii, altri erano dorici; con i nuovi elementi etnici anche nuovi culti si diffusero a
Selinunte, come quelli dorici di Phobos e soprattutto di Eracle, alle cui leggende si ispirarono gli artisti
che scolpirono le metope dei templi selinuntini.
La città, sorgeva su un pianoro elevato a circa 30 metri sul livello
del mare e delimitato ad ovest dal Modione e ad est da un corso d'acqua di minore portata, il Cottone, alla cui foce era situato il
porto principale della città.
Nella parte sud del pianoro, quella sporgente sul mare,
fu costruita l'acropoli con la zona sacra; oltre le sue mura,
nella parte nord del pianoro, detto della Manuzza, sorse il centro urbano, che si estendeva su una
superficie di oltre 20 ettari e che poteva dare alloggio ad una popolazione di alcune decine di migliaia.
Ad est e ad ovest della città si trovavano due aree sacre: oltre il Gorgo Cottone, sulla collina orientale,
furono costruiti i più grandiosi templi di Selinunte; ad ovest del Modione sorsero vari santuari, di cui,
il più famoso e il più antico era quello consacrato alla Malophoros (Demetra).
La campagna attorno a Selinunte, cosparsa di paludi, fu
bonificata dal medico, fisico e filosofo Empedocle da Agrigento.
L'entroterra selinuntino, che ben presto i coloni occuparono,
era costituito di fertili pianure dove veniva praticata una
rigogliosa agricoltura, con abbondante produzione di cereali e
soprattutto di ulivi, che fecero di Selinunte uno dei principali
empori d' olio dell’antichità.
Se l'agricoltura era prospera, non di meno lo era il commercio:
posta ai confini con la parte occidentale della Sicilia, controllata
dai Cartaginesi, Selinunte ebbe rapporti commerciali non solo
con le colonie greche ma anche, con Mozia, Segesta e con la stessa Cartagine, con la quale,
per tutelare i propri commerci col mondo punico, si alleò piuttosto che con le città greche di Sicilia.
La natura di colonia di popolamento a carattere agricolo-commerciale, che Selinunte ebbe fin dalla
sua fondazione, spinse i selinuntini a conquistare nuovi territori, sia lungo la costa sia verso l'interno.
Il territorio selinuntino nella seconda metà del VI secolo, infatti,
si estendeva a ovest fino al fiume Mazaro, alla foce del quale
Selinunte fondò un emporio commerciale con una fortezza per la
sua difesa; verso l'interno, fino alle odierna località di Salemi,
che segnava il confine col territorio di Segesta;
verso oriente, fino alle Terme Selinuntine (l'odierna Sciacca),
che segnavano il confine col territorio agrigentino.
Selinunte riuscì anche a superare questi confini, come quando,
intorno alla metà del VI secolo, fondò la colonia di Eraclea Minoa
sulle rive del Platani, che però, cadde in mano agli Agrigentini;
in altri momenti, il tentativo di superare questi confini fu causa di contrasti, con le vicine città.

Una Polis

Selinunte che, come molte delle colonie greche in Sicilia,ebbe un governo tirannico.
Un certo Terone figlio di Milziade fu il primo tiranno di Selinunte;
il secondo fu Pitagora, matematico ed esperto condottiero
che con la sua filosofia guidava il popolo in guerra e politica.
Segue Eurielo che, venuto in Sicilia con la spedizione di Dorieo,
si impossessò di Selinunte.
Tutto lascia pensare che la tirannide non fu la sola forma di
governo e che l'aristocrazia con un regime oligarchico,
abbia avuto un ruolo determinante nel governo della città.
In ogni caso le vicende politiche esterne di Selinunte sono contrassegnate da un continuo guerreggiare un po’ accanto
ai greci un po’ a fianco dei cartaginesi.

La sua posizione geografica, all'estremo confine occidentale della Sicilia e i suoi due porti che
permettevano l’attracco di navi di grosso tonnellaggio fecero si che Selinunte si trovasse al centro
d'una attività commerciale molto florida con intensi scambi coi mondi ellenico e punico.
L'esigenza pertanto di salvaguardare e di tutelare i propri interessi commerciali, si rivelò un fattore
determinante per la politica espansionistica sia commerciale che militare; il risultato fu che non sempre
la politica di Selinunte, risultò lineare e coerente.
Frequenti furono gli scontri con Segesta con lo scopo di aprirsi uno sbocco sul Tirreno per fondare un
emporio commerciale sul golfo di Castellammare che però rientrava nella zona di dominio di Segesta.
Nel 413, però, un ennesimo tentativo di Selinunte di penetrare entro i confini di Segesta scatenò una
guerra che coinvolse anche le grandi potenze del tempo;
Segesta, infatti, chiese aiuto ad Atene e fu soccorsa anche da Cartagine, tradizionale alleata delle città elimo-puniche, mentre Selinunte si rivolse per aiuto a Siracusa, nonchè‚ ad Agrigento e a Gela.
Lo scontro decisivo fu nel 409, con lo sbarco di Annibale che alla
testa di un poderoso esercito di fanti e cavalieri congiuntosi
con le milizie dei Segestani, mosse verso Selinunte;
Con una rapida manovra, prese la fortezza selinuntina situata
sulla foce del Mazaro a difesa del porto, quindi piombò sulla città
attaccandola da due lati; i selinuntini, intanto, abbandonati
a se stessi in quanto i rinforzi siracusani tardavano ad arrivare
e con essi anche quelli gelesi ed agrigentini, resistettero strenuamente per nove giorni sperando vanamente nell'arrivo dei soccorsi.
Alla fine, stremati nelle forze, dovettero cedere alla schiacciante superiorità numerica del nemico.
I soldati di Annibale, penetrati nella città, saccheggiarono e devastarono, trucidando la popolazione;
Diodoro racconta che circa 16.000 Selinuntini perirono nel grande massacro.
Vennero risparmiati da Annibale soltanto le donne e i bambini che si erano rifugiati nei templi, mentre
i pochi che riuscirono a sfuggire all'eccidio trovarono scampo nelle vicine città di Agrigento e Gela.

Finiva così tragicamente la storia di una delle più celebri colonie greche d'Occidente, e per Selinunte
si aprivano i secoli bui della decadenza e dell'asservimento politico.
Dopo la distruzione del 409, tornò ad essere abitata, ma non raggiunse più lo splendore urbanistico,
né la prosperità economica, né lo sviluppo demografico dei secoli precedenti.
Un accordo di pace stipulato fra Siracusa e Cartagine, stabili nel fiume Halykos (l'odiemo Platani)
il confine tra la zona di influenza siracusana e la zona di influenza cartaginese.
Selinunte, trovandosi nella zona cartaginese, venne sottomessa al dominio punico, diventando la base
punica più orientale sulla costa meridionale della Sicilia.
La città venne fortificata dai Cartaginesi e ricostruita, ma solo nell'area dove sorgeva prima l'acropoli.
Col dominio cartaginese, penetrarono a Selinunte ovviamente anche elementi
culturali della civiltà fenicio-punica:
si diffusero nuovi culti, nuove credenze religiose e nuovi costumi.
Sembra anche che il recinto del santuario della Malophoros, anticamente
dedicato a Zeus, sia stato consacrato nel IV o nel III secolo al culto di
Tanit, dea punica della fecondità, e di Baal Hammon.
Nel 250, Cartagine per meglio difendersi dai romani fece trasferire la
popolazione di Selinunte, a Lilibeo (odierna Marsala), distruggendo la città
e abbandonandola alla rovina.
Quest'ultima vicenda segna la fine della storia di Selinunte.
Nel Medioevo si perse anche il nome della città; nella seconda metà del 1500,
la città fu riscoperta dallo storico siciliano Tommaso Fazello.
Nel 1823 hanno avuto inizio gli scavi archeologici, che hanno portato alla luce
numerosi avanzi della città, fortunatamente conservatisi attraverso i secoli.
Gli scavi ad oggi continuano grazie alla collaborazione di studiosi, sia italiani che stranieri, che certamente potranno ancora restituirci altre importanti vestigia della bella Selinunte.

...Selinunte archeologica

Bella, ricca e potente era Selinunte, un antica metropoli stimata in circa 70.000 abitanti, e cosi doveva
apparire ai suoi visitatori, la città stato i cui templi figuravano tra i più sontuosi della Magna Grecia.
Lo schema urbanistico era molto regolare con due assi viari, il ‘Regularis’ con orientamento Nord-Sud
e l’altro il ‘Decumanus’ con orientamento Est-Ovest, a cui si collegavano tutte le strade formando così
un reticolo a maglie regolari.
La cinta muraria che circondava l’Acropoli ed il pianoro di Manuzza, aveva uno spessore variabile fra i
due e i tre metri ed era rinforzato da torri di avvistamento costruite con blocchi di tufo squadrato.
Di tali fortificazioni, andate distrutte dal poderoso esercito di Annibale nel 409, resta la Porta Nord
posta alla fine dell’asse viario nord-sud che attraversava l’acropoli stessa.

L’Acropoli

Al suo interno troviamo i templi C e D che sono i più antichi e sontuosi della cittadella fortificata, seguono i templi B, A e O.

il Tempio C:  Sembra essere destinato al culto di Apollo.
Ciò è confermato dalla metopa di una quadriga del sole
posta al centro della facciata Est del tempio.
Il suo periptero era composto da 6 colonne per facciata
e ben 17 colonne sui fianchi laterali.
Il Tempio D con 6 colonne per facciata e 16 di lato sembra esser
dedicato a Giove.
Il piccolo Tempio B sembra invece dedicato ad Empedocle,
il filosofo scienziato che avrebbe diretto a Selinunte le opere
di drenaggio delle acque.
Intorno a questo tempietto ci sono i resti delle più antiche costruzioni sacre di Selinunte.
All'estremità meridionale dell'acropoli si trovano altri due templi, A ed O, vicinissimi e molto simili
fra loro e ciò induce a pensare fossero dedicati al culto di Castore e Polluce.

Collina orientale

Qui sorgevano altri tre templi: E, F, G.
Il tempio E, edificato intorno alla metà del V secolo a.C. segna il massimo dell'apogeo dello stile dorico;
destinato al culto di Era come risulta da una iscrizione sul posto.

Il tempio F, datato VI secolo a.C., era invece dedicato ad Atena.







Il tempio G è uno dei più grandi templi dell’architettura ellenica,
il suo periptero conta 8 colonne per facciata e ben 17 sui lati;
sviluppato per 110,36 m in lunghezza e 50,10 m in larghezza, era stato concepito per i grandi panegirici
popolari che dovevano attirare una grande folla, che poteva essere ospitata comodamente.
La sua costruzione non fu mai completata, probabilmente
perché si arrestò al momento della fine della città.
Tra le rovine del tempio emerge il fuso della vecchia unica colonna
ricostruita e tra l’altro in modo un po’ maldestro che nella tradizione popolare assume un simbolismo fallico; i pescatori invece ritengono raggiunto il banco di pesca quando dal mare allontanandosi lo vedono emergere completamente.



il Santuario della Malophoros
sorge ad ovest del fiume Modione
ed era meta di pellegrinaggi continui.
Era dedicato alla Malaphoros, la dea portatrice del
melograno simbolo della fecondità, ma durante
dominazione punica fu riconvertito alla dea Tanit,
equivalente della Malaphoros, come testimoniano
le stele puniche ritrovate sul posto.



Monete

Come ogni polis che si rispetti, anche Selinunte aveva la sua zecca
e coniava monete in oro,argento e rame; la foglia di apio,
il prezzemolo selvatico che cresce rigoglioso sul posto,
erano spesso l’emblema di riconoscimento, mentre altri emblemi
erano le quadrighe, il toro, gli animali e le divinità greche.

Efebo

Un cenno particolare merita questa statuetta in bronzo che adesso, dopo tante
peripezie è in bella mostra al Museo Civico di Castelvetrano appositamente allestito
per dare una degna collocazione a questo pregevole manufatto.
Si tratta di un kouros bronzeo risalente al 480-470 a.C.; I kouros erano posti negli
atri dei templi con una mano sollevata a reggere le offerte alle divinità.
Rinvenuta nel 1882 in contrada Calera fu acquistata dal comune di Castelvetrano per
500 lire; restaurata nel 1926 fu poi trafugata nel 1962 e ritrovata due anni dopo,
per fare il suo ritorno trionfale a ‘casa’ ove attualmente  si trova in bella mostra nel
Museo Civico cittadino.

Il parco archeologico

Gli scavi archeologici di Selinunte ebbero inizio nel 1825 ad opera di due architetti
inglesi, Harris ed Angeli, e sono continuati quasi ininterrottamente fino ad oggi;
data la vastità della zona gran parte della città rimane ancora sotto terra.
Buona parte dei reperti, metope, triglifi, monete, statuette, ceramiche e vasellame
sono custoditi presso il museo Archeologico di Palermo, oltre che in collezioni private
e all’estero, nel 1993 è stato istituito il parco archeologico, grande 270 ettari
e non c’è giorno in cui folti gruppi di visitatori si aggirino tra questo:
“immenso accumulo di colonne crollate, ora allineate ed affiancate al suolo come soldati morti,
ora precipitate in maniera caotica”(Guy de Maupassant).
A distanza di 2.500 anni queste rovine, volendo escludere la possibile azione di terremoti, sembrano
il risultato di un accanimento furioso, come se gli aggressori avessero voluto punire una città che,
nella sua presunzione, avesse troppo osato.

L’ulivo nella preistoria

La pianta dell'olivo ha origini antichissime: reperti archeologici
del neolitico attestano l'uso di olive come alimento e presenza di olivi
già in quello terziario. La coltivazione dell'olivo affonda le sue origini nel
lontano Medio Oriente per poi svilupparsi in tutto il bacino Mediterraneo.
I primissimi frantoi rinvenuti, risalgono intorno al 5000 a.C.;
Circa 6000 anni fa, durante l'età del Rame, alcune comunità d'agricoltori
che abitavano nelle regioni litoranee del Mediterraneo Orientale,
intervennero su alcuni olivi a frutti grandi e cominciarono a scegliere
le varietà in modo sistematico e non casuale.
Si può affermare che, nella storia, esiste un rapporto diretto tra sviluppo
civile ed olivicoltura in tutte le civiltà mediterranee; la coltivazione
dell'olivo e la produzione di olio sono tipiche di società stabili, dotate di
organizzazione politica ed economica ben definita; questo perchè sono
richieste conoscenze agricole e tecniche di lavorazione approfondite.

L’ulivo nel mondo antico

L’olivicoltura era distribuita lungo la Grecia, l'odierna Turchia e la Palestina..
A Babilonia il medico era chiamato "asu", ovvero "conoscitore degli oli":
Nel 2500 a.C., il codice babilonese di Hammurabi regolava la produzione
e il commercio dell'olio d’oliva.
Intorno al 2300 a.C. gli Egiziani ornavano le tombe dei faraoni con rami d'olivo, simbolo di vita e di fecondità.
In Israele sono stati ritrovati mortai di pietra, datati V millennio a.C.,
in cui le olive erano ridotte in pasta tramite la forza delle braccia.
Questi recipienti erano costituiti da rami d'olivi intrecciati e pietre
sovrapposte, la cui forma ricorda l'attuale fiscolo in corda, utilizzato
per pressare la pasta d'olive macinate. Nella cultura ebraica l'olio d'oliva
venne usato per santificare e consacrare l'Arca dell'Alleanza, gli arredi di culto e i sacerdoti.
Da ricordare la colomba liberata da Noè, che tornò all'arca con un ramoscello d'olivo nel becco,
simbolo di fine suffragio universale e inizio di una nuova vita.
Per merito dei Fenici e poi dei Cartaginesi, la pianta dell'olivo approda in molti paesi del Mediterraneo,
e anche in Italia; gli Etruschi possedevano già vaste piantagioni nell'Italia centro settentrionale e
a Roma nasceva un vero e proprio mercato oleario.

L’ulivo nel Mondo Greco

Secondo la mitologia l'antica mitologia greca,
l’ origine di Atene è legata all'impianto dell'olivo da parte di Atena,
in lotta con Poseidone per la supremazia nella protezione della città.
Zeus decretò vincitrice Atena, in quanto aveva donato agli uomini la
pianta più utile e le concesse la sovranità su tutta la regione dell'Attica

L’ulivo nel Mondo Romano

L'epoca antica di maggiore espansione dell'olivo è quella legata allo
sviluppo del dominio di Roma: la produzione, il commercio e il consumo
dell'olio d'oliva ha un significativo incremento, contemporaneo a quello
dell'organizzazione della proprietà terriera, dell'apparato politico ed amministrativo dello stato.
Dopo la fine della terza guerra punica l'intero Mediterraneo fu coinvolto in un processo di diffusione dell'olivo; il commercio dell'olio era,
con quello dei cereali, il più importante e avveniva per terra e via mare.
Uso e consumo dell'olio d'oliva:
In cucina come condimento; in balsami e oli profumati; in unguenti per ferite, prurito, ustioni;
per massaggi; come olio per lanterne; come moneta di scambio.
L'olio nell'organizzazione romana ha un valore strategico: la legione romana (circa 30000 uomini)
andava "a olio", i legionari mangiavano farro macinato, il "boletum" o salsa di pesce sott'olio, formaggi
sott'olio e ulive e tutti i giorni si lavavano con l'olio.
Una legione ha un enorme consumo di olio, quasi mezzo chilo a testa di olio al giorno

L’ulivo nel Medioevo

Il Medioevo conosce una agricoltura diversa, impegnata per il sostentamento;
diminuisce la diffusione dell'olivo per produrre cereali di base, il vino
(aumentano le estensioni coltivate e l'importanza).L'olio si lavora ancora,
ma si preferisce usare i grassi animali, che si conservano meglio.
Durante il Medioevo l'olio d'oliva divenne assai raro e prezioso,
tanto da essere considerato in alcuni casi come denaro contante;
a partire infatti dal V secolo, i controlli statali sull'olio iniziano
a diminuire fino a scomparire quasi del tutto, sono gli ordini religiosi
a possedere la maggior parte degli olivi ancora coltivati e l'olio si trova
solo alla mensa dei ricchi, ma soprattutto degli ecclesiastici.
Tecniche di innesto, potatura e frangitura erano all'avanguardia, e sotto la dominazione araba la Spagna
divenne un grande produttore d'olio, come pure tutti i paesi del Nord Africa e del vicino Oriente.
Nel corso del '300 c'è la piccola glaciazione che dura circa tre secoli, micidiale per l'olivo e le coltivazioni;
Solo nel '600, specialmente in Toscana, si riprese la coltivazione dell'olivo e la produzione di olio.
Allo stesso periodo risale l'impianto di gran parte delle zone di produzione attuale in Calabria, Campania, Abruzzo, Lazio e Sicilia;
La destinazione principale dell'olio d'oliva durante il Medio Evo non è tuttavia alimentare bensì liturgica.
Gli Oli Sacri ed il Crisma, necessari ad impartire i sacramenti, vengono benedetti durante la
"Messa del Crisma" che il Vescovo presiede il giovedì Santo; l'olio consacrato era distribuito nelle varie
chiese e doveva durare tutto l'anno; qualora fosse cessato si poteva richiedere solamente al Vescovo.
Anche le lampade che ardono sugli altari davanti all'immagine del Santissimo possono essere alimentate
solo dall'olio d'oliva secondo quanto prescritto dalla Scrittura.

L’Ulivo nel Mondo Moderno

È con l'Illuminismo comunque, che si dette più spazio all'agricoltura, anche olivicola.
Si abolirono le tasse onerosissime imposte dagli spagnoli sull'olio,
si concesse l'esenzione dalla tassa sugli oliveti, permettendo
all'olivicoltura e alla produzione olearia di crescere; questo permise
ai paesi del Mediterraneo di commerciare con tutto il nord Europa.

Gli illuministi consigliavano una raccolta accurata senza bacchiatura,
una pulitura meticolosa degli apparecchi prima e dopo l'uso,
una rapida pressione dopo la raccolta; inizia allora una campagna,
per migliorare la resa dei torchi e la qualità dell'olio.
È l'epoca in cui Corfù si copre di olivi e frantoi, come del resto in Italia;
si diffuse largamente il torchio a vite diretta, mentre in Francia
si cerca di migliorare la sua produttività, incastrandola nella volta.
Fu così che l'agronomo Bernard mette in evidenza le reticenze dei nobili,
che badando solo alla qualità delle olive, non hanno interesse
a migliorarne la torchiatura. Dappertutto furono proposti miglioramenti.

I mutamenti del XIX secolo e d'inizio XX portano all'estensione massiva
degli oliveti in alcuni paesi: per esempio, in Grecia e Tunisia.

 

 

L’ulivo nel Mondo Contemporaneo

Fino ai nostri giorni, l'olivicoltura italiana ha continuato a crescere in quantità e in qualità.
Sono cambiati i sistemi d'impianto e di potatura; sono stati reimpiantati
gli oliveti poco produttivi, e la meccanizzazione della raccolta in alcune
zone è ormai una realtà; l'introduzione di nuove tecniche di spremitura,
insieme al generalizzato anticipo dell'epoca della raccolta hanno reso
possibile una grande e generalizzata crescita qualitativa.
Oggi l'olivo è diffuso in gran parte delle regioni italiane e in tutti i paesi
del bacino mediterraneo; negli ultimi anni l'olio d'oliva italiano è stato
protagonista di una grande crescita qualitativa, crescita alla quale
i consumatori non sono rimasti estranei.
Non sono ormai solo pochi esperti a distinguere tra un olio piccante ed uno fruttato, tra un ligure
e un toscano, tra un olio da bruschetta e uno da pesce, perchè se pur è vero che non siamo il solo paese
produttore d'olio di oliva, l'olio italiano delle zone vocate non ha rivali al mondo.
Gli antichi dicevano: il Mediterraneo comincia e finisce con l'olivo, ad indicare il legame intimo e stretto
tra la pianta e l'area geografica.
Con l'olivo si è diffusa oggi nel mondo una civiltà alimentare, frutto di saggezza ed esperienza millenarie,
riscoperta dalla scienza contemporanea e battezzata Dieta Mediterranea.